Navigare tra le Opzioni di Trattamento dopo il Fallimento della Terapia Tripla nel Cancro alla Prostata: si Dovrebbe Considerare un Secondo ARPI?

Al Meeting Annuale 2025 dell’Associazione Europea di Urologia (EAU), il Dott. Bertrand Tombal ha esplorato uno scenario clinico difficile affrontato da molti oncologi: la gestione della progressione del cancro alla prostata metastatico resistente alla castrazione (mCRPC) dopo la terapia tripla iniziale per il cancro alla prostata metastatico ormono-sensibile (mHSPC). Nello specifico, la presentazione ha discusso se un secondo inibitore della via del recettore degli androgeni (ARPI), come abiraterone o enzalutamide, dovesse essere considerato in caso di fallimento della terapia iniziale.

Attualmente, gli ARPI sono centrali nella gestione del cancro alla prostata, ma le risposte a un secondo ARPI dopo la progressione iniziale sono generalmente limitate e transitorie. Lo studio PLATO ha mostrato in particolare che la combinazione di abiraterone ed enzalutamide dopo la progressione ha prodotto risposte minime, con solo l’1-2% dei pazienti che ha ottenuto riduzioni significative del PSA.

Ulteriori ricerche indicano che la sequenza di trattamento è importante. Uno studio di fase II ha suggerito modesti miglioramenti quando abiraterone è stato seguito da enzalutamide rispetto alla sequenza opposta, sebbene le risposte complessive siano rimaste limitate indipendentemente dall’ordine. Di conseguenza, le attuali linee guida cliniche sconsigliano l’uso di routine di un secondo ARPI alla progressione a causa dell’efficacia limitata.

Invece, i trattamenti raccomandati includono chemioterapia (cabazitaxel), inibitori di PARP, 177Lu-PSMA-617 (LuPSMA) o radium-223. Queste alternative offrono in genere risposte più robuste e benefici in termini di sopravvivenza.

Tuttavia, il Dott. Tombal ha discusso risultati intriganti dello studio PSMAfore, rivelando quello che ha definito il “paradosso di PSMAfore”. Lo studio ha confrontato la terapia con LuPSMA con un cambio di ARPI in pazienti con mCRPC naïve alla chemioterapia, riscontrando un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione ma nessuna differenza significativa di sopravvivenza globale. Questo risultato suggerisce che, in casi specifici, il passaggio a un secondo ARPI potrebbe ritardare la necessità di trattamenti più aggressivi senza compromettere in modo significativo gli esiti dei pazienti.

In conclusione, mentre i secondi ARPI offrono generalmente un’efficacia limitata dopo il fallimento della terapia tripla, pazienti attentamente selezionati, specialmente quelli inizialmente trattati con abiraterone, potrebbero beneficiare di un passaggio temporaneo a un secondo ARPI. Questo approccio potrebbe potenzialmente estendere l’intervallo prima di iniziare strategie di trattamento più aggressive.

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